16 Set

XXIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Dal Vangelo secondo Matteo 18, 21-35

“ Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello?”

“ Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse:“Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?” E  Gesù gli rispose:”Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”. A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi……”

 Siamo di fronte ad una famosa pagina evangelica, in cui si distingue facilmente una duplice scena: la prima con il tono di una chiarimento circa un precetto (vv.21-22), la seconda sotto forma di parabola (vv.23-35).

vv.21-22: anche stavolta è Pietro a porre una domanda a Gesù, circa la vita della comunità e il rapporto tra i suoi membri.

vv.23-35: la parabola non ha paralleli negli altri Vangeli. Ci presenta un debitore spendereccio a cui il re condona tutto il debito. A sua volta questi non sa fare altrettanto con un suo dipendente, che gli doveva appena ‘cento denari’. Che il perdonato non perdoni a sua volta è un’ingiustizia che suscita la collera (v. 34).

La conclusione della parabola è di una chiara evidenza: quel servo è condannato dal re: E Gesù ne trae una conseguenza: “così il Padre celeste farà…con voi” (v.35).

Non bisogna ridurre questa pagina solo ad una direttiva etica di Gesù: devi perdonare poiché anche Dio ti ha perdonato.

Che venga perdonato il debito enorme (v.27) ci indica che il perdono non può limitarsi a perdonare ciò che è scusabile, i cosiddetti ‘peccati veniali’, ma che è tale quando perdona ciò che sembra imperdonabile: è questa la misura del perdono cristiano!

La risposta data da Gesù a Pietro trasforma radicalmente il significato del perdonare nella comunità dei credenti. Dai criteri quantitativi di un dovere da seguire (“quante volte dovrò perdonare” del v.21), a un atteggiamento stabile di persone che sanno sottrarsi alla vendetta, al rispondere all’offesa con l’offesa. Si tratta infatti di prolungare lo stile di vita proposto da Gesù e di ritenere questo comportamento un’identità cui il credente non può rinunciare, perché non può dimenticare che il suo Maestro morente in croce ha pregato per i suoi crocifissori.

Dunque, noi discepoli di Gesù, siamo chiamati ad essere –individualmente e comunitariamente- segno e testimonianza del perdono di Dio in Cristo. Un perdono gratuito e senza esclusioni!

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"E poi un giorno la luce, il pianto, non di sofferenza, ma quasi di commozione..."

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